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L’evoluzione dell’informazione con l’avvento della digitalizzazione

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08 Ottobre 2025
Intervista al professor Lorenzo Cantoni
INTERVISTA

In questi ultimi decenni la maniera in cui le persone si informano e comunicano fra loro ha subito una grande evoluzione. La digitalizzazione ha profondamente cambiato le abitudini dei cittadini, la maniera di comunicare fra loro e di interessarsi all’attualità.  Per approfondire meglio questa tematica la SSR Svizzera italiana CORSI ha organizzato una tavola rotonda che si è tenuta mercoledì 10 settembre alle ore 18.30 presso lo Studio 2 RSI a Lugano-Besso. Per terminare la riflessione su questi temi, abbiamo deciso di intervistare il Professor Lorenzo Cantoni, Vice Decano e Professore ordinario della Facoltà di Comunicazione, cultura e società dell’Università della Svizzera italiana.  

Prof. Lorenzo Cantoni, nella sua lunga carriera accademica ha assistito alla nascita dell’Università della Svizzera italiana e della Facoltà di comunicazione, cultura e società. Dal suo punto di vista, come è cambiato negli ultimi anni l’interesse dei cittadini e degli studenti per la comunicazione?

Direi che l’elemento più caratterizzante di questo quarto di secolo sia stata una comprensione sempre più chiara dell’importanza della comunicazione. La consapevolezza che ogni attività umana è profondamente legata alla comunicazione. Naturalmente questo si è accompagnato anche a una diffusione capillare, e a tratti “invasiva” di piattaforme e mezzi tecnologici, che hanno supportato e promosso nuove pratiche comunicative. 

 

La comunicazione così come l’informazione è cambiata radicalmente negli ultimi tempi. Quali sono, secondo lei, gli elementi che più caratterizzano la comunicazione del nostro tempo e la differenziano da quella dei primi anni Duemila?

Direi la diffusione dei telefoni “smart” – l’iPhone ha compiuto da poco i 18 anni – che ci hanno abituati ad essere sempre connessi alla rete internet e sono diventati una parte integrante della nostra esperienza del mondo. Se ci muoviamo dal livello individuale a quello delle organizzazioni – siano esse aziende o istituzioni – tutte, in qualche modo, sono diventate delle media companies: producono e distribuiscono contenuti costantemente, ben al di là di specifiche azioni di marketing o promozione, per esempio attraverso i social media.

 

Una delle cause di questo cambiamento è dovuto alla digitalizzazione, che ha necessariamente mutato anche il mondo dell’informazione. Oggi l’accesso alle notizie è gratuito, immediato e disponibile attraverso diverse piattaforme. Questa maggior accessibilità all’informazione ha però un retro della medaglia meno nobile, che è quello di un consumo rapido e superficiale delle notizie. Come si può spiegare questo paradosso?

La facilità di accesso, la quantità di informazioni disponibili e la loro gratuità hanno contribuito ad alimentare l’impressione che possiamo sapere tutto di tutto… Naturalmente anche giornali, radio e tv in passato ci avevano suggerito che si poteva sapere tanto sul mondo, ma il digitale è andato oltre, creando un’illusione di onnipresenza molto pericolosa. Di più, grazie agli algoritmi rischiamo di essere esposti solo a contenuti che rafforzano la nostra convinzione di essere dalla parte “giusta” e promuovono una comprensione semplificata e polarizzante della realtà. Se consideriamo la recente uccisione di Charlie Kirk, non possiamo che constatare quanto potenzialmente tragici possano essere gli effetti di questa escalation.

 

Le notizie ora circolano soprattutto su piattaforme terze e necessitano la conoscenza di nuovi strumenti digitali, soprattutto per non incappare in informazioni non verificate. Quale ruolo può giocare, secondo lei, l’Università nel preparare le persone a un uso più consapevole di questi nuovi strumenti digitali?

Un ruolo molto importante, direi. Si tratta di aiutare anzitutto i giovani a comprendere i media nel loro sviluppo storico, e dunque a relativizzarne e demistificarne, per così dire, il valore, comprendendone il funzionamento e i limiti. 

Naturalmente si tratta anche di saper usare le varie tecnologie e piattaforme in modo competente ed eticamente adeguato e – idealmente – anche di saper sviluppare nuovi strumenti, sempre più idonei a supportare la comunicazione umana.

 

Con l’aumento delle piattaforme digitali è cresciuta la domanda di informazione, ma allo stesso tempo sembra ridursi il riconoscimento della funzione del servizio pubblico radiotelevisivo. Come spiega questo fenomeno?

Credo che la diffusione di piattaforme digitali sia causa ma anche effetto di una ridotta considerazione dei media cosiddetti tradizionali. Penso infatti che anche questi debbano fare un profondo esame di coscienza e riflettere sulle ragioni per cui le persone, negli scorsi anni, hanno continuato a perdere fiducia in essi. 

Non si tratta solo, infatti, di una questione di comodità e di costi, si tratta, più a fondo, della percezione che anche i media tradizionali sono spesso tutt’altro che affidabili o politicamente neutrali, una percezione che porta molti cittadini, in America come in Europa, a perdere fiducia in essi. Se penso, per esempio, allo studio OCSE sulla fiducia nelle istituzioni pubbliche del 2024, sono più i cittadini svizzeri che si fidano poco o nulla dei media (42,65%) rispetto a quanti si fidano moderatamente o molto (39,61%).

Si tratta dunque d’intraprendere un percorso che conduca tutti, sia cittadini sia professionisti e aziende mediali, verso la ricostituzione di un rapporto di fiducia.

A cura di Marco Ambrosino

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