
L’avvento della digitalizzazione è un fenomeno trasversale che, in tempi relativamente brevi, ha interessato tutti gli ambiti della società. Questo cambiamento ha modificato sia il modo in cui consumiamo l’informazione, sia quello in cui fruiamo dell’intrattenimento. Anche le trasmissioni per bambini e ragazzi della RSI hanno seguito questa tendenza, che ha portato negli ultimi anni alla creazione di un’offerta RSI per bambini e ragazzi interamente digitale. Per raccontare questa evoluzione, la SSR Svizzera italiana CORSI organizza un evento pubblico che si svolgerà lunedì 17 novembre alle ore 18:30 presso l’Asilo Ciani a Lugano. Per avvicinarci a questo tema, abbiamo intervistato Ilario Lodi, Responsabile regionale di Pro Juventute per la Svizzera italiana.
Signor Lodi, da anni è impegnato in prima linea nel sostegno ai bambini e ai giovani attraverso Pro Juventute. Quali sono, secondo la sua esperienza, le principali sfide che le nuove generazioni si trovano ad affrontare oggi?
Tra le tante sfide vorrei citarne una su tutte, ovvero quella di trovare il modo di rallentare i tempi di vita, poiché quelli a cui sono attualmente sottoposti non consente loro di vivere pienamente, poiché sono ritmi che non collimano con i loro bisogni, sotto un punto di vista biologico e psicologico; soprattutto, però, educativo ed esistenziale. Di fronte a quest’accelerazione dei ritmi di vita la pedagogia deve saper reagire poiché, lo ripeto, i ritmi dell’educazione non sono quelli dei loro ritmi di vita di oggi.
Quale ruolo riveste oggi la televisione nella vita dei bambini? È ormai un mezzo superato oppure continua a rappresentare uno strumento rilevante di intrattenimento e apprendimento?
È un mezzo per nulla superato. Dirò di più: è un mezzo che va secondo me recuperato, il più presto possibile. I bambini e i giovani stanno vivendo oggi un cronico deficit di collettività. La radio e la televisione hanno in questo senso un compito molto importante che è quello di ricostruire questa collettività che, in generale, è venuta meno e di cui sono proprio i giovani a soffrirne maggiormente.
I bambini di oggi vengono spesso definiti “nativi digitali”. Quali sono gli effetti concreti di questa immersione tecnologica sul loro sviluppo?
I bambini che oggi sono costantemente interconnessi sono molto più distanti tra di loro di quanto non lo fossero i loro coetanei anche solo fino a una decina di anni fa. Sono iperconnessi ma di fondo costantemente soli. È questo l’effetto più dirompente sul loro sviluppo. È bene però sbarazzare il campo dalle incomprensioni: non sono contrario alle nuove tecnologie, ma sicuramente contrario alla maniera con cui queste sono state gestite e sfruttate.
Quali strategie possono aiutare le nuove generazioni a trasformare il digitale da spazio votato al semplice intrattenimento a uno strumento di apprendimento e crescita personale?
Le nuove tecnologie hanno occupato quegli spazi educativi che, per nostra negligenza, abbiamo lasciato vuoti. Si sono inserite in una dimensione esistenziale di cui ci siamo disinteressati. Il problema non risiede nelle tecnologie stesse – sulle quali, lo ribadisco, sono generalmente favorevole – ma nel modo in cui abbiamo permesso loro di svilupparsi e imporsi. Oggi queste piattaforme hanno un valore quasi esclusivamente commerciale e risultano praticamente prive di utilità educativa o di crescita personale.
Ai bambini e ai ragazzi offriamo un sapere prevalentemente “operativo”, senza soffermarci sul significato e sulle implicazioni di questa operatività. Per restituire piena funzione educativa a questi strumenti digitali, è necessario recuperare il loro valore umano; in caso contrario, il loro valore continuerà ad essere esclusivamente commerciale, trasformando i giovani non in discenti consapevoli, ma in meri consumatori.
In un contesto digitale in cui le notizie vengono prodotte e consumate con grande rapidità, come possono i giovani imparare ad avere una lettura critica che li aiuti a riconoscere le fake news?
Non credo che per uscire dal problema educativo delle nuove tecnologie si debbano utilizzare le nuove tecnologie. Vi sono concetti decisivi per l’esistenza – ma ai quali i giovani devono essere introdotti – come la Giustizia, il Bello e il Bene, che sono fondamentali per la nostra vita. Questi principi, di matrice aristotelica, sono del tutto estranei alla mentalità orientata al profitto dei creatori di molti strumenti digitali. È proprio questo cambio di paradigma educativo che occorre affrontare: bisogna insegnare ai giovani a leggere criticamente la realtà, fornendo loro gli strumenti per riconoscere le fake news e per analizzare con profondità fenomeni complessi, evitando letture superficiali dei fatti.
Come valuta oggi l’offerta del servizio pubblico radiotelevisivo per bambini e ragazzi? Ritiene che riesca ancora a rispondere ai loro bisogni di scoperta, intrattenimento e crescita in un’epoca dominata dal digitale?
Ritengo, come sottolineato all’inizio, che il servizio pubblico radiotelevisivo svolga un ruolo fondamentale e abbia il compito di offrire un’idea di società attraverso i suoi media tradizionali. Per quanto attiene ai giovani in particolare, credo che, per continuare a esercitare una funzione sociale rilevante, televisione e radio non debbano cercare di competere con i social media, ma concentrarsi sulla missione che hanno sempre avuto, anche nei programmi loro rivolti. In una espressione, direi che il servizio pubblico radiotelevisivo, più che “promuovere l’uso del bottone rosso sul telecomando” debba adoperarsi maggiormente per fare sistema.
A cura di Marco Ambrosino, Responsabile dei contenuti editoriali SSR Svizzera italiana CORSI
