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Gli anni che Varlin trascorse in Bregaglia

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16 Ottobre 2017
La figlia di Varlin, Patrizia Guggenheim, racconta gli anni che il celebre artista trascorse in Val Bregaglia nei Grigioni italiano.
OPINIONI

di Patrizia Guggenheim


Una casa in campagna. Una bambinaia, naturalmente anche una bambina, una lavatrice, il premio d'arte della Città di Zurigo, una lavastoviglie, mia moglie in un mantello di ocelot, una Fiat, unghie sempre pulite e pieghe ai pantaloni.
Come dice la mia amata gemella Erna: «Ora sei diventato un vero piccolo borghese, indietro non puoi più tornare.»

Così Varlin descrive la sua vita nei suoi primi anni trascorsi in Bregaglia. All'inizio degli Anni Sessanta Varlin godeva di un certo riconoscimento a Zurigo. Era diventato il ritrattista dei notabili zurighesi, un ruolo che da un lato lo lusingava, dall'altro lo metteva a disagio. Ciò rafforzò ulteriormente il suo amore-odio per la città, che lo spinse a fuggire la città e il successo locale preferendo lunghi viaggi in Italia, Spagna e spesso a Parigi.

Tornò così comodo a Varlin il fatto che sua moglie Franca, che sposò nel 1963, possedesse una casa a Bondo. Si ritirarono così in Bregaglia; Varlin mantenne però il suo atelier a Zurigo. Bondo quale luogo di ritiro e di fuga. Per i suoi amici era incomprensibile come un uomo di città come lui, che cominciava la sua giornata con una colazione al mattino presto nel buffet della stazione, e che poi faceva un primo giro nei centri commerciali di Zurigo, potesse ritirarsi nella relativa solitudine di un paese di montagna. Ma essi mantennero i contatti. Non ricordo una settimana senza che qualcuno ci facesse visita. Vennero ad esempio Dürrenmatt, Jürg Federspiel, Hugo Loetscher, l'attore Ernst Schröder, il fotografo, mercante d'arte e editore Ernst Scheidegger e altri.

Gli anni trascorsi in Bregaglia furono un periodo molto produttivo. Ne risultarono molte opere tarde, sempre più influenzate dai suoi contatti con l'Italia che stabilì grazie a Serafino Corbetta. Corbetta era collezionista d'arte e primario presso l'ospedale regionale di Chiavenna. Grazie a lui Varlin conobbe lo scultore Mario Negri e soprattutto l'importante scrittore e critico d'arte Giovanni Testori. Gli intensi scambi con Testori e la sua profonda amicizia diedero a Varlin il coraggio di superare i suoi precedenti limiti artistici.

I formati dei dipinti divennero enormi, gli spazi rappresentati indefiniti fino alla dissoluzione. I ritratti prima chiusi in sé stessi lasciarono posto ad una forma rappresentativa esplosiva. Con la malattia che avanzava, la sofferenza e la morte divennero sempre più un soggetto dei suoi dipinti. Contrariamente al suo precedente motto «lavora piano, ma in compenso poco»,Varlin lavorava ora in modo ossessivo, finché la sua malattia glielo impedì.

Il periodo trascorso in Bregaglia significò per Varlin famiglia, una casa propria, un giardino, uno spazioso atelier, nuove amicizie. Tutto ciò gli permise di compiere un ulteriore passo artistico e di sviluppare opere tarde autonome.

 

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