
In questi ultimi anni la maniera in cui le persone si informano e comunicano fra loro è cambiata. La rivoluzione digitale, favorita da molteplici fattori, ha mutato le abitudini dei cittadini e il loro rapporto con l’informazione. Per approfondire meglio questa tematica la SSR Svizzera italiana CORSI ha deciso di organizzare una tavola rotonda che si terrà mercoledì 10 settembre alle ore 18.30 presso lo Studio 2 RSI a Lugano-Besso. Per avvicinarci a questa importante serata, abbiamo deciso di intervistare il Professor Gabriele Balbi, Professore ordinario della Facoltà di Comunicazione, cultura e società dell’Università della Svizzera italiana.
Prof. Gabriele Balbi, dal suo punto di vista, come è cambiato negli ultimi anni l’interesse dei cittadini per la comunicazione e in quali ambiti si è sviluppato maggiormente?
Negli ultimi decenni la comunicazione ha assunto un ruolo centrale nella vita quotidiana e nei discorsi delle persone, arrivando progressivamente a permeare ogni ambito, dal lavoro alle relazioni interpersonali. Oggi quasi tutte le attività professionali, tutte le aziende, ma anche le istituzioni formative devono in un modo o nell’altro confrontarsi con la comunicazione. Faccio l’esempio di due tra i settori maggiormente coinvolti: la politica e l’economia. In ambito politico, i deputati utilizzano sempre più spesso i social media, attuando processi di disintermediazione per creare un rapporto più diretto con l’elettorato. Sul piano economico, invece, si registra il successo delle grandi società digitali – in particolare le big tech statunitensi e, in alcuni casi, cinesi – che negli ultimi anni si sono imposte sul mercato internazionale, rivoluzionando le abitudini degli utenti e diventando realtà economiche rilevanti su scala globale. Solo qualche decennio fa le aziende di media e comunicazione non erano ai primi posti per capitalizzazione di mercato, ma c’erano aziende petrolifere, farmaceutiche, del lusso, di automobili. Insomma, anche gli investimenti nella comunicazione e il suo valore globale sono esplosi.
La comunicazione così come l’informazione è cambiata negli ultimi decenni. Quali sono, secondo lei, gli elementi che più caratterizzano la comunicazione del nostro tempo?
Da qualche decennio, dispositivi come il computer e lo smartphone o infrastrutture come la rete internet hanno spostato il baricentro della comunicazione verso il digitale, incentivando la produzione e l’uso di questi apparecchi o servizi. Tale trasformazione ha avuto un impatto rilevante soprattutto sul piano socioculturale e sulla maniera di costruire i rapporti interpersonali. È tuttavia opportuno sottolineare che questi cambiamenti sociali derivano da diverse concause: il nuovo modo di fruire l’informazione e di comunicare non può infatti essere ricondotto esclusivamente all’avvento degli smartphone o dei social media, ma da un nuovo modo di percepire la società e i rapporti interpersonali. Tecnologia e società, insomma, si cambiano a vicenda.
La digitalizzazione ha portato a un modello di informazione più istantanea e gratuita. Questa accresciuta accessibilità alle informazioni, però, sembra andare di pari con un consumo rapido e superficiale delle notizie. Come sta in realtà oggi il mondo dell’informazione?
I dati mostrano come i media tradizionali, in particolare giornali e periodici cartacei, stiano attraversando una fase di crisi, mentre l’informazione si è progressivamente spostata sui social media. Questa situazione presenta però almeno tre aspetti su cui vale la pena riflettere. Il primo è il fatto che gran parte delle notizie presenti sui social media viene presa dai media tradizionali, ma rilanciata sui social in forma gratuita e immediata. Il secondo riguarda il significativo spostamento delle risorse pubblicitarie: la quota destinata ai social media o alle Big Tech digitali come Google è oggi elevatissima e ha progressivamente eroso le entrate che un tempo garantivano la sostenibilità economica della stampa e dell’informazione tradizionale. Infine, è utile osservare la maniera d’informarsi degli utenti, che propendono sempre più per un modello orizzontale e targetizzato; non sorprende, in questo senso, che la comunicazione interpersonale – in particolare attraverso applicazioni come WhatsApp – venga indicata dagli utenti come una delle principali fonti d’informazione oggi. I dati forniti dal Digital News Report 2024 dell’Oxford University’s Reuters Institute forniscono inoltre un quadro preoccupante anche per il nostro stesso sistema democratico: più del 60% degli intervistati non crede più alle notizie ma soprattutto circa il 40% decide volontariamente di evitare di informarsi.
Con l’emergere dei nuovi media e degli strumenti digitali avanzati, cresce anche il rischio di un uso superficiale o disinformato dovuto alla mancanza di formazione. Quale ruolo può giocare, l’Università nel preparare le persone a un uso consapevole di queste tecnologie?
È indubbio che l’Università abbia un ruolo centrale. Il compito principale è quello di stimolare un pensiero critico, un termine spesso abusato, ma secondo me in sostanza si tratta di allenare il ragionamento indipendente e il dubbio come approccio ai problemi del mondo, inclusa la tecnologia. Inoltre, è suo compito quello di conoscere questi strumenti e capire come utilizzarli, senza propagare un negazionismo a priori, ma contribuendo a diffonderne un utilizzo consapevole e dichiarato, anche in ambito accademico. Inoltre, l’università può favorire un processo di alfabetizzazione digitale, facilitando la padronanza di questi nuovi strumenti digitali: lo può fare con progetti e sensibilizzazione dei pubblici e dei propri studenti. In generale ritengo che di fronte alle nuove tecnologie l’Università non debba imporre delle raccomandazioni su come consumare l’informazione o peggio ancora dei divieti del tipo non si usa lo smartphone o non si usa ChatGPT, ma debba piuttosto dialogare efficacemente con i propri studenti, favorendo la comprensione e la consapevolezza nell’uso di questi sistemi.
Con l’aumento delle piattaforme digitali, il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo sembra essere messo più in discussione. Quale la sua importanza al giorno d’oggi?
Il servizio pubblico radiotelevisivo riveste un ruolo fondamentale per diverse ragioni. In primo luogo, perché garantisce un’informazione non targetizzata, aperta al confronto con la diversità. Inoltre, svolge un compito essenziale di fact-checking, offrendo contenuti verificati e affidabili su cui i cittadini possono basarsi. Il servizio pubblico, riprendendo una vecchia metafora di Mario Chiesa (uno dei padri fondatori della RSI), deve essere un’acqua potabile a cui tutti possono attingere. Attualmente, il servizio pubblico si concentra soprattutto in due contesti specifici e circoscritti, in due luoghi: i televisori all’interno delle abitazioni e le radio principalmente in auto. Esistono sistemi per rivedere sul PC o sullo smartphone i contenuti, ma non sono ancora usati in maniera massiccia. Il resto dell’informazione viene invece consumata prevalentemente su piattaforme terze: la vera sfida per il servizio pubblico, quindi, non consiste nel contrastare questa modalità di consumo, ma nel progettare formati e contenuti adatti per queste piattaforme, senza tuttavia trascurare il valore e la solidità della programmazione lineare, che continua a essere seguita e apprezzata. È una sfida difficile, che si gioca al limite tra generazioni, abitudini di consumo, dispositivi diversi.
A cura di Marco Ambrosino, Responsabile contenuti editoriali SSR Svizzera italiana CORSI