La nostra società si è sviluppata insieme ai mass media e oggi continua a trasformarsi con l’avvento dei social media. Questi strumenti influenzano profondamente la crescita culturale e possono diventare leve decisive per promuovere valori come la parità di genere. Per riflettere su questo ruolo e sul potere delle narrazioni mediatiche, la SSR Svizzera italiana CORSI organizza l’incontro pubblico Ribaltare le narrazioni: il ruolo dei media nel promuovere la parità, che si terrà martedì 9 dicembre alle 18:15 presso l’Auditorium di Banca Stato a Bellinzona. In vista dell’evento abbiamo intervistato Athina Greco, collaboratrice del Servizio per le pari opportunità del Canton Ticino.
La Svizzera, sui temi relativi alle pari opportunità, non è stata particolarmente all’avanguardia, storicamente. Concesso il suffragio femminile solo nel 1971, si è dovuto attendere il 1981 per vedere riconosciuta anche nella Costituzione una sostanziale parità di genere. Quali sono oggi gli organi competenti per il Canton Ticino nella promozione della parità di genere?
È vero, per lungo tempo la Svizzera ha rappresentato il fanalino di coda dell’Europa in materia di pari opportunità. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi decenni, forme di sessismo strutturale e disuguaglianze nelle opportunità continuano a persistere, richiedendo non solo strumenti normativi efficaci, ma anche un cambiamento culturale profondo.
Qui entra in gioco il Servizio per le pari opportunità del Cantone Ticino che a livello istituzionale è il principale organo competente in materia di parità di genere. In sostanza, ci occupiamo di contrastare le discriminazioni legate al genere e di decostruire gli stereotipi ancora radicati nel tessuto sociale. Il Servizio interviene in particolare nel mondo del lavoro favorendo la conciliabilità, la parità salariale, la prevenzione delle molestie e l’aumento della presenza femminile nelle posizioni decisionali. Ci occupiamo anche dell’ambito formativo, per sensibilizzare docenti, giovani e famiglie, sostenendo scelte formative libere da condizionamenti e promuovere ambienti scolastici inclusivi. Ma le nostre attività si estendono anche agli ambiti dell’integrazione, della cultura e dello sport, dove la prospettiva di genere assume una valenza trasversale.
Hai osservato dei cambiamenti significativi nella maniera in cui l’opinione pubblica percepisce le tematiche legate alla parità di genere?
Credo che negli ultimi anni la percezione pubblica delle tematiche legate alla parità di genere abbia subito mutamenti significativi. Se negli anni in cui i movimenti per i diritti civili e per l’emancipazione femminile, come quelli del ’68, denunciavano discriminazioni evidenti, oggi ci confrontiamo con forme di disuguaglianza più sottili e pervasive. È ciò che definiamo sessismo strutturale o sistemico: non l’effetto di singoli comportamenti, ma l’esito di modelli sociali, pratiche istituzionali e dinamiche organizzative che, nel loro insieme, riproducono discriminazioni in modo stabile e capillare. Il Barometro nazionale sull’uguaglianza 2024 mostra che, mentre le disparità più tangibili, come il divario salariale, sono generalmente riconosciute, una parte consistente della popolazione ritiene che la parità sia ormai raggiunta nella formazione, nel lavoro, nella vita familiare e nella politica. Molte discriminazioni sfuggono infatti alla percezione quotidiana perché si inscrivono nella trama stessa delle norme sociali, divenendo parte dell’“ovvio” e quindi dell’invisibile.
Oggi la parità di genere è più presente nel dibattito pubblico, ma questa visibilità mette in luce tensioni latenti: statisticamente molti uomini, soprattutto tra i più giovani, mostrano atteggiamenti difensivi di fronte ai cambiamenti sociali, non solo rispetto alle donne della loro generazione, ma anche agli uomini delle generazioni precedenti. Questo crea polarizzazione e genera discussioni spesso accese, soprattutto sui social media, in cui la complessità del tema rischia di essere semplificata.
In questo scenario, il ruolo dei media è cruciale: possono contribuire a ridare profondità al dibattito pubblico, rendendo visibili le forme meno evidenti di discriminazione e offrendo alla cittadinanza gli strumenti per interpretare la realtà con maggiore lucidità e responsabilità.
Secondo te, quale ruolo possono svolgere il servizio pubblico radiotelevisivo e i media in generale nel sensibilizzare il pubblico sul tema della parità di genere?
Il linguaggio plasma la realtà tanto quanto la racconta. Come sosteneva Virginia Woolf, «noi siamo le parole»: scegliere termini inclusivi non è solo una questione formale, ma un modo per riconoscere e rendere visibili esperienze che altrimenti resterebbero marginali. Il servizio pubblico e i media hanno quindi la responsabilità di utilizzare parole che non riproducano stereotipi, che non riducano le donne a categorie predeterminate e che permettano a tutti i membri della società di sentirsi rappresentati.
La narrazione mediatica è altrettanto cruciale. Troppo spesso le modalità di rappresentazione confinano le donne in due soli registri, l’apparenza o la maternità, ignorando competenze, leadership ed esperienze di vita che le rendono figure complesse e autonome. Pensiamo a un esempio tra tanti: l’astronauta di fama mondiale Samantha Cristoforetti, viene chiamata nei giornali “Astromamma”, un’etichetta che enfatizza il suo ruolo di madre più della sua esperienza scientifica e professionale. Questi schemi diventano ancora più problematici nel racconto della violenza di genere: spettacolarizzare i fatti, enfatizzare il sensazionalismo o porre l’attenzione su dettagli che colpevolizzano la vittima (cosa indossava? dove si trovava? Aveva bevuto?) distoglie dal contesto sistemico e rafforza pregiudizi e comportamenti discriminatori. Raccontare la violenza con precisione, mostrando i meccanismi strutturali che la producono, significa contribuire a una cultura di responsabilità e consapevolezza collettiva.
Infine, la parità deve essere trasversale. Non deve essere relegata a rubriche dedicate o segmenti “rosa”, ma permeare ogni ambito della vita sociale: politica, economia, cultura, sport e informazione devono includere prospettive femminili e maschili in egual misura.
Puoi spiegare come è cresciuto il Premio Ermiza e se ha contribuito concretamente a orientare i media verso una maggiore attenzione per queste tematiche?
Negli ultimi anni la quantità e la qualità dei contenuti che affrontano le tematiche di genere è cresciuta, soprattutto perché la società stessa ha espresso un bisogno di rappresentazione più equa e consapevole. In questo contesto si inserisce il Premio Ermiza, che valorizza i contenuti audiovisivi (radio, televisione e web) e da quest’anno anche scritti, che affrontano il tema delle pari opportunità con rigore, accuratezza e sensibilità. L’obiettivo del Premio Ermiza è duplice: da un lato celebrare i media, le professioniste e i professionisti che traducono in narrazione una consapevolezza critica sulla parità di genere; dall’altro creare occasioni di rilancio e discussione pubblica. Valorizzare buone pratiche giornalistiche contribuisce a consolidare una cultura dell’attenzione e della responsabilità.
Su quali aspetti il servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe chinarsi maggiormente nei prossimi anni per promuovere in maniera ancora più decisa la parità di genere?
Come detto, il servizio pubblico deve raccontare la realtà attraverso un linguaggio inclusivo, narrazioni equilibrate e l’inclusione sistematica di voci femminili come esperte, protagoniste di storie di vita e modelli di normalità. Ma oltre a ciò la parità di genere deve partire dal luogo stesso in cui le notizie prendono forma: le redazioni. Le persone che scelgono quali storie raccontare e come farlo plasmano il messaggio che raggiunge il pubblico.
Garantire una maggiore presenza di donne in ruoli decisionali e in posizioni chiave all’interno delle redazioni non è solo una questione di equità formale, ma un elemento essenziale per ampliare le prospettive con cui viene rappresentata la società. È altrettanto importante investire nella formazione di giornaliste e giornalisti. Comprendere i propri bias inconsci, aggiornarsi sulle evoluzioni del linguaggio inclusivo e sviluppare strumenti per una narrazione rispettosa e accurata non deve rimanere un’eccezione, ma diventare parte integrante della pratica quotidiana. L’inclusione sistematica delle prospettive di genere deve permeare ogni fase del lavoro editoriale: dalla scelta delle fonti alla costruzione delle notizie, dall’inquadramento visivo alla formulazione dei titoli.
Una redazione che riflette la società nella sua composizione e nelle sue scelte editoriali non solo rappresenta meglio la realtà, ma contribuisce a trasformarla, stimolando una mentalità collettiva più attenta, inclusiva e critica verso le disuguaglianze strutturali ancora presenti. In questo senso, l’impegno per la parità di genere non è mai un dettaglio accessorio: è parte integrante della responsabilità del servizio pubblico verso l’intera comunità.
A cura di Marco Ambrosino, responsabile contenuti editoriali SSR.CORSI