Relazione di Luigi Pedrazzini, Presidente CORSI, all’Assemblea ACSI - 8 aprile 2017
"Tengo innanzitutto a ringraziarvi per l’opportunità che mi offrite di esprimere qualche considerazione sul futuro servizio pubblico radiotelevisivo nella prospettiva di un dibattito che diventerà sempre più attuale, non solo per effetto dell’iniziativa No Billag, in votazione il prossimo anno (se a giugno a settembre dipenderà dall’eventuale presentazione di un controprogetto), ma anche dalla preannunciata nuova legge sui media (in consultazione nel 2018/19) e dal rinnovo della concessione con la SSR (che interverrà dopo il dibattito sulla nuova legge, fermo restando che l’attuale concessione, in scadenza nel 2017 sarà dapprima prorogata per un anno e poi sostituita da una concessione “ponte” fino all’entrata in vigore della nuova legge) e che, ovviamente, venga respinta l’iniziativa No Billag.
È importante che un’associazione civilmente e politicamente impegnata come l’ACSI si occupi tempestivamente del problema, per poi adoperarsi, nel corso dei prossimi mesi, per far capire alle cittadine e ai cittadini le conseguenze delle loro scelte sulla futura esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo.
I servizi pubblici non sono più intoccabili
Personalmente, anche se il mio pensiero politico si è formato in un contesto diverso dall’attuale, contesto nel quale i servizi pubblici erano difesi sia da destra che da sinistra quasi fossero intoccabili (e del resto non dimentichiamo che i servizi pubblici in Svizzera sono nati da Parlamenti e Governi a larga maggioranza borghese), personalmente, dicevo, penso sia necessario discutere senza pregiudizi del ruolo dei servizi pubblici nel nostro paese, dei loro compiti, delle risorse che ricevono e delle modalità di attribuzione e di utilizzazione di queste risorse. Cambiano i tempi, cambiano le aspettative dei clienti, e anche i servizi pubblici devono saper adattare la loro offerta!
È però di fondamentale importanza capire e far comprendere, anche se di questi tempi è tutt’altro che facile, che il giudizio sull’esistenza di un servizio pubblico, non può limitarsi a considerare gli aspetti prettamente economici: il cittadino deve riconoscere che l’esistenza dei servizi pubblici è giustificata dal perseguimento di obiettivi di interesse generale, per loro natura non necessariamente monetizzabili.
Questo vale, in generale, per ogni servizio pubblico, e in particolare per il servizio pubblico radiotelevisivo chiamato a operare in un ambito estremamente delicato per il funzionamento di una società pluralistica, federalista e democratica come quella Svizzera!
Gli interessi generali che giustificano un servizio pubblico nell’ambito della comunicazione
E allora quali sono stati, e quali sono ancora oggi, gli “interessi generali” che giustificano l’esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo e, di conseguenza, l’esistenza di un’azienda che agisca sul piano nazionale finanziata con il canone?
Li troviamo ben descritti nell’art. 93 della CF, l’articolo sulla radiotelevisione: “La radio e la televisione contribuiscono all’istruzione e allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni e all’intrattenimento. Considerano le particolarità del Paese e i bisogni dei cantoni. Presentano gli avvenimenti in modo corretto e riflettono adeguatamente la pluralità delle opinioni”. Questo il tenore del cpv 2 dell’art. 93 che verrebbe letteralmente cancellato in caso di accettazione dell’iniziativa No Billag.
Il funzionamento della democrazia
Per quanto mi concerne metto al primo posto il corretto funzionamento del nostro sistema democratico. Dovesse essere accolta l’iniziativa No Billag, che mira a azzerare l’esistenza del servizio pubblico radiotelevisivo, e quindi della SSR, in che modo potrebbe essere garantito non solo un ampio completo confronto generale sul futuro del paese, ma confronti puntuali sulle numerose elezioni e votazioni, confronti non condizionato dalla disponibilità di risorse finanziarie dei partiti e dei comitati che sostengono o combattono determinate tesi?
In altri paesi, molto più grandi del nostro, è forse immaginabile che nascano dal libero mercato aziende di comunicazione con ispirazioni diverse (forse, dico, perché l’esempio della vicina repubblica non sembra convincere sotto questo punto di vista). Dovesse essere cancellata la SSR, per effetto di No Billag, è possibile che possa nascere nella Svizzera tedesca, un’azienda privata, ma una sola, di dimensioni relativamente importanti, ma certamente non libera e non indipendente. È invece assolutamente escluso che ciò possa accadere nelle altre regioni, quelle minoritarie della Svizzera francese e della Svizzera italiana: lo spazio lasciato libero dalla SSR e dalle sue emittenti regionali (RTS e RSI) verrebbe principalmente occupato da competitori esteri, che già oggi godono di discreto seguito in tutte le regioni del paese (per la buona pace di chi non perde occasione per dichiarare il proprio patriottismo).
Il federalismo
Ecco che allora metto al secondo posto, fra gli interessi generali per giustificare l’esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo nazionale forte, la difesa e la promozione di una Svizzera multiculturale, plurilingue e federalista.
Con scelta felice, coraggiosa e lungimirante gli Svizzeri hanno deciso che ogni regione linguistica deve avere una sua radiotelevisione e che l’offerta in lingua tedesca, francese e italiana deve essere equivalente. È una scelta felice perché riconosce la pari dignità fra le culture, con un atto di concretissima solidarietà (la Svizzera italiana, che contribuisce grosso modo al 5 % delle risorse SSR, riceve, grazie alla chiave di riparto, oltre il 20 %). È una scelta coraggiosa perché determina un canone fra i più alti d’Europa (sarebbe attorno ai 200 fr. per fuoco se gli amici svizzero tedeschi dovessero finanziare soltanto la loro radiotelevisione, sarebbe non lontano dai 1000 franchi se gli svizzero italiani dovessero pagarsi da soli la RSI…).
È una scelta lungimirante perché contribuisce a consolidare, rinnovandoli, i valori fondamentali per una “Willensnation” qual è la Svizzera.
Un dibattito sui fondamenti della Svizzera
Il tempo a mia disposizione non consente di enumerare tutti gli “interessi generali” garantiti dall’esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo nazionale, che sono in definitiva anche gli elementi principali della concessione in base alla quale opera la SSR. Quanto fin qui detto dovrebbe però bastare per capire che il dibattito sul futuro del servizio pubblico radiotelevisivo ha tutte le caratteristiche di un dibattito sui fondamenti della Svizzera, anche se taluno ha interesse a ridurne l’importanza e spinge per un giudizio sull’offerta dell’azienda che incarna questo servizio pubblico: la SSR e, per noi un particolare, la RSI.
Proprio la possibilità ci confondere il livello della scelta di principio sull’esistenza e l’importanza del servizio pubblico con quello dell’offerta puntuale e concreta della RSI, rende il quadro generale particolarmente insidioso. Le difficoltà diventano ancora maggiori se si considera che questa partita - ripeto: di fondamentale importanza non per la SSR ma per la Svizzera e le sue regioni - si gioca in un contesto di forte cambiamento tecnologico del mercato della comunicazione che influenza le abitudini dei consumatori (soprattutto giovani), in un aumento esponenziale e differenziato dell’offerta, in una tendenziale, a tratti drammatica, riduzione delle risorse pubblicitarie a disposizione, che rende particolarmente aspri, a tratti astiosi i confronti sul perimetro, sull’offerta e sull’acquisizione di risorse da parte del servizio pubblico (gli editori privati, salvo poche eccezioni, conoscono grandissime difficoltà).
Si aggiunga, tanto per rendere il quadro decisionale ancora più problematico, un evidente tendenza a ragionare in modo emozionale anche sui grandi temi, cosicché la mancata copertura di un evento locale o un commento maldestro di un giornalista, portano a giustificare la soppressione della RSI…
Non solo No Billag
Si tenga poi presente che No Billag è solo un fronte della campagna contro il servizio pubblico, fronte che ha almeno il pregio della grande chiarezza: se vince l’iniziativa scompare la SSR ! Vi sono infatti numerose altre richieste che in un modo o nell’altro mirano a limitare il raggio d’azione della SSR, creando confini giuridici o limiti finanziari, oppure forme di subordinazione più o meno diretta alla politica (finora la SSR è gestita da una struttura complessa che ha il pregio di non permettere ai partiti di influire nelle scelte gestionali e editoriali dell’azienda, e questo vale anche per la CORSI il cui scopo principale, dopo la riforma delle strutture, non è quello di gestire l’azienda, bensì di creare un collegamento fra l’azienda e il suo pubblico, compito che la CORSI assolve tramite il suo comitato e il Consiglio del Pubblico senza mai premiare le sensibilità partitiche, che pure sono presenti al suo interno).
Mobilitazione!
In funzione dell’importanza del confronto sul Servizio Pubblico radiotelevisivo, è straordinariamente importante che vi sia una sorta di mobilitazione per contrastare efficacemente la strategia di chi mira a togliere dal mercato della comunicazione un attore forte e indipendente, attento per obbligo di concessione a occuparsi anche di progetti e di programmi non redditizi ma fondamentali per il futuro del nostro paese, della sua cultura, della sua democrazia, del suo federalismo, delle sue componenti, un attore che disponga in tutte le regioni principali di un’azienda di importanza nazionale.
Non preconizzo una difesa per principio, ideologica del servizio pubblico, un rifiuto di scelte atte a garantire una migliore convivenza fra tutti gli attori della comunicazione. Ho del resto recentemente scritto sul Corriere del Ticino che chi ha a cuore il futuro della RSI deve avere a cuore anche il futuro dei giornali e adoperarsi per nuove forme di collaborazione e di interazione fra i media. L’evoluzione deve essere però frutto di un confronto aperto che abbia come principale attenzione l’interesse del consumatore. Un esempio: negare o limitare fortemente l’accesso del servizio pubblico nell’informazione online, significa non riconoscere la necessità della presenza di un’offerta di qualità, di un’informazione verificata e attendibile in un contesto molto attrattivo ma anche fortemente a rischio di manipolazioni interessate (come sembra dimostrare quanto avvenuto nelle recenti elezioni americane). Un altro esempio: porre limiti strumentali alla raccolta di pubblicità da parte delle emittenti SSR, sul broadcast e il broadband, non comporta necessariamente un aumento delle risorse pubblicitarie per i giornali, ma più probabilmente un incremento degli affari per i grandi nuovi attori come Google.
Si cerchino piuttosto cooperazioni tecnologiche, forme di compensazione finanziarie a beneficio dei privati (come è stato recentemente deciso per una più importante partecipazione delle emittenti private ai proventi del canone).
Il servizio pubblico è del pubblico
Il tema che mi avete assegnato è complesso e richiederebbe ben altro approfondimento. Non ho parlato, a esempio, di come la RSI adempie alla missione del Servizio Pubblico. Mi limito a affermare che i risultati di ascolto e i sondaggi non danno ragione a alcuni luoghi comuni che si sono diffusi in questi anni nel paese anche perché chi ha criticato l’azienda, come era e rimane suo diritto farlo!, ha raramente trovato interlocutori disposti a difenderla, al di là di chi ha una funzione professionale nell’azienda stessa o istituzionale nella CORSI.
Proprio per questo ho scelto un taglio diverso: ciò che maggiormente mi interessa, alla vigilia di scelte fondamentali sul futuro del servizio pubblico, è ottenere la consapevolezza che le sfide in atto devono suscitare non solo l’ascolto delle diverse opinioni, ma la partecipazione dei cittadini responsabili alle scelte. Anche perché, in definitiva di chi è il servizio pubblico se non del pubblico?"