Quale l'immagine che i media di servizio pubblico danno del loro territorio di riferimento? E quale il legame che si instaura con chi lo vive e chi lo visita? Su questi spunti di riflessione si basano gli eventi e i contenuti editoriali del 2024 della SSR.CORSI. E in questo ambito pubblichiamo il primo di una serie di contributi esclusivi del professore Claudio Visentin, esperto di storia del turismo.
Il turismo ha trasformato larga parte del mondo: il centro e ancor più le periferie assolate. Eppure rimane un oggetto misterioso. Chi è un turista? Le poche definizioni disponibili sono vaghe, incerte. Spesso si confonde il turismo con i servizi che lo rendono possibile: i trasporti, gli alloggi. Il turismo è dunque solo una forma di consumo? O è possibile immaginare un modello diverso, magari partendo da luoghi e storie apparentemente eccentrici?
Nel suo libro Le vie dei canti (The Songlines, 1987) lo scrittore e viaggiatore inglese Bruce Chatwin racconta come per gli aborigeni australiani il racconto della creazione fosse al tempo stesso la prima mappa del territorio, creata nel “tempo del sogno” che precede la storia. La terra, l'albero, la roccia, il sentiero nascono quando vengono cantati e chi li canta è con essi una cosa sola.
Ispirandoci a questa visione, possiamo immaginare il viaggio come una narrazione, un racconto, una costruzione dello sguardo che rimanda alla semiotica (ovvero ai segni e alla loro interpretazione) prima che all’economia. In questa prospettiva una chiesa diventa un monumento, una collina una pista da sci. Quel ch’era banalmente vecchio diventa antico e acquista così un nuovo valore. Il panorama guida lo sguardo del visitatore.
Ci piace pensare ai nostri viaggi come a una scoperta, ma spesso seguiamo la scia luminescente di un racconto, trasformiamo in esperienza quanto abbiamo cresciuto nella nostra immaginazione. Forse è inevitabile, forse ne abbiamo bisogno. Solo la narrazione consente di immaginare la nostra esperienza futura, ci rassicura e ci fornisce le ragioni di un viaggio.
Per lungo tempo questo compito di narrare i luoghi è stato svolto soprattutto dagli scrittori. Per esempio nel 1934 con Tenera è la notte Francis Scott Fitzgerald racconta l’invenzione dell’estate sulla riviera francese; è l’atto di nascita della civiltà balneare. Prima dei racconti di Chatwin, Theroux e Sepulveda, la Patagonia in un certo senso non esisteva. «Non c’è niente in Patagonia», confida Jorge Luis Borges a Paul Theroux. E ancora con Una stanza con vista (1908) E.M. Forster ha creato il mito di Firenze e della Toscana nella cultura inglese, poi rilanciato dalla trasposizione cinematografica di James Ivory. Infine la scrittrice americana Frances Mayes, anche in questo caso con un libro tradotto poi in un film di successo (Under the Sun of Tuscany, 1997), ha trasformato l’immagine e il destino di Cortona. Questi due ultimi esempi mostrano come nell’ultimo mezzo secolo anche il cinema e la televisione abbiano giocato un ruolo importante nel racconto dei territori, senza cambiare tuttavia alla radice le regole del meccanismo narrativo. Semmai con la crescita esponenziale dei numeri, grazie a nuove forme di organizzazione turistica, queste narrazioni escono dall’ambito puramente intellettuale e si traducono in una strategia di marketing. Il territorio diventa allora un prodotto, attraverso un percorso che spesso si conclude nello spossessamento e nel puro uso turistico.
Un tempo tutti leggevano gli stessi libri e guardavano gli stessi spettacoli. Era dunque più facile mettere a fuoco una narrazione condivisa. Negli ultimi anni invece il consumo di libri, film e televisione si è parcellizzato in percorsi sempre più personali; il flusso narrativo si è moltiplicato ma al tempo stesso ha perso forza, linearità, coerenza. In compenso anche gli abitanti dei territori, coinvolti e spesso sconvolti dal turismo di massa, hanno potuto far sentire la propria voce, soprattutto grazie alla rete. Le gerarchie restano ma quanto meno i locali possono uscire dall’ombra e giocare un loro ruolo. Si passa dal monologo alla conversazione, che tuttavia funziona solo se è costruita nei modi e con i tempi giusti. Nella realtà invece il processo è complesso e confuso, perché la conversazione attraverso i nuovi media tende ad essere ridondante, ripetitiva, caotica, non controllata. Da qui l’importanza di recuperare una propria voce: voci originali, creative, che vengono direttamente dal territorio, radicate, legittimate, espressione di una comunità.
Una nuova generazione di turisti e viaggiatori è interessata ad ascoltare queste voci. Infatti se guardiamo alle più recenti tendenze del viaggio contemporaneo, così com’è praticato da artisti, scrittori, giornalisti, musicisti, troviamo un viaggio senza lussi inutili, lento, stabilendo un contatto con la comunità locale. È questo l’ultimo e più importante elemento di distinzione. Senza le persone che abitano i luoghi, senza la loro diversità culturale, il viaggio semplicemente non ha senso. Essere accolti nella comunità, diventare cittadini temporanei, sperimentare per qualche tempo uno stile di vita completamente diverso, lasciare un segno positivo del proprio passaggio, sono le aspirazioni fondamentali dei viaggiatori più responsabili, la ragione stessa del viaggio E poi magari esprimere la propria creatività: fotografare, disegnare, scrivere. Di nuovo la narrazione, ma da un punto di vista più condiviso, democratico, paritario. E questo è il nuovo contesto nel quale giornali, radio e televisione devono trovare un loro spazio.
Claudio Visentin, docente di Cultural History of Tourism nel Master in International Tourism dell'USI